18 apr 2015


"Il boss Antonino Rotolo era al corrente di tutto ciò che accadeva in Cosa nostra e nel suo organigramma nonostante fosse in carcere. Non so come facesse. Ma addirittura mi indicò anche il nome del nuovo capo di Cosa nostra, di cui però non ricordo il cognome". Lo ha detto il pentito Carmelo D'Amico, rispondendo in videoconferenza al processo sulla trattativa Stato-mafia. D'Amico, collaboratore di giustizia dall'anno scorso, è stato detenuto nel carcere Opera di Milano in regime del 41-bis, nel quale condivise l'ora di socialità con il boss mafioso palermitano Antonino Rotolo dal quale avrebbe appreso anche altri aspetti legati a Cosa nostra e alle stragi del '92.

"Il boss Rotolo mi rivelò che, spinti dai Servizi i ministri Mancino e Martelli si rivolsero a Ciancimino, tramite Cinà, per arrivare a Riina e Provenzano" ha detto D'Amico. "Riina - ha continuato - non voleva accettare i contatti, poi fu convinto da Provenzano e insieme scrissero alcuni punti come quelli sull'alleggerimento delle normative sui sequestri dei beni".

"Rotolo mi disse anche che Matteo Messina Denaro non e' il capo di Cosa nostra - ha detto D'Amico - perché era capomandamento di Trapani. Il capo di Cosa nostra non può essere un trapanese, deve essere palermitano". "Rotolo era l'unico soggetto che aveva il giornale in cella. L'unico al 41bis che aveva il giornale". Sulle stragi del '92, D'Amico ha detto: "Rotolo mi disse che i mandanti erano Andreotti e altri politici. In particolare dietro c'erano i servizi segreti. I mandanti avevano delegato Riina a commettere la strage, sia per quanto riguarda l'omicidio di Falcone che di Borsellino. Il dottore Falcone era vicino a svelare i contatti tra Cosa nostra, i servizi segreti e questi politici che volevano governare l'Italia".

"I nomi che farò oggi sono di persone capaci di tutto, possono entrare nelle carceri e uccidere simulando suicidi e morti naturali. Sono loro che dirigono la politica e cercheranno di togliermi di mezzo come volevano fare con lei, dottor Di Matteo", aveva esordito in aula D'Amico. Il pentito messinese, ex capo provinciale di Cosa nostra, è sottoposto al programma di protezione, ma ha detto di temere per la propria vita e per quella dei suoi familiari che, ancora, non sono stati trasferiti in località protetta. D'Amico, che si è autoaccusato di una trentina di omicidi e ha parlato di un progetto di attentato a Di Matteo, ha anche rivelato di essersi pentito dopo la scomunica dei mafiosi di Papa Francesco.

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