Interrogato in videoconferenza dall’aula
bunker del carcere dell’Ucciardone, nel corso dell’ultima udienza sulla
presunta trattativa tra pezzi delle istituzioni e Cosa Nostra, Carmelo
D’Amico, l’ex killer di Barcellona Pozzo di Gotto, oggi ritenuto un
superpentito, ha accusato l’attuale ministro degli Interni: “Alfano è
stato portato da Cosa nostra che lo ha prima votato ad Agrigento, ma
anche dopo. Poi Alfano ha voltato le spalle ai boss facendo leggi come
il 41 bis e sulla confisca dei beni”.
Nelle dichiarazioni del collaborazione
di giustizia, vengono svelati i presunti rapporti tra mafia e Forza
Italia: “Cosa nostra ha votato anche Schifani, poi hanno voltato le
spalle, e la mafia non ha votato più Forza Italia”. Quindi D’Amico
arriva a sostenere che il partito di Berlusconi era sdoganato
direttamente da Riina e Provenzano: “I boss votavano tutti Forza Italia,
perché Berlusconi era una pedina di
Dell’Utri, Riina, Provenzano e dei
Servizi. Forza Italia è nata perché l’hanno voluta loro”.
“All’epoca i politici hanno fatto
accordi con Cosa nostra, poi quando hanno visto che tutti i
collaboratori di giustizia che sapevano non hanno parlato, si sono messi
contro Cosa nostra, facendo leggi speciali, dicendo che volevano
distruggere la mafia”, è la tesi del pentito che rivela anche
l’esistenza di una loggia massonica a Barcellona Pozzo di Gotto: “Ne
facevano parte uomini d’onore, avvocati e politici, e la comandava il
senatore Domenico Nania: a questa apparteneva anche Dell’Utri”.
Il pentito rivela quindi le confidenza
fattegli in carcere da Nino Rotolo, il boss di Pagliarelli fedelissimo
di Bernardo Provenzano: “Rotolo mi disse che Matteo Messina Denaro non è
il capo di Cosa nostra, perché è il capomandamento di Trapani: ma il
capo di Cosa nostra non può essere un trapanese, deve essere
palermitano”. Poi ancora: “Mi raccontò che i servizi avevano fatto
sparire dal covo di Riina un codice di comunicazione per mettersi in
contatto con politici e gli stessi agenti dei servizi”.
“Mi disse anche che Provenzano era
protetto dal Ros e dai Servizi e non si è mai spostato da Palermo,
tranne quando andò ad operarsi di tumore alla prostata in Francia”,
prosegue il pentito, che quindi conferma l’intenzione di uccidere il pm
Nino Di Matteo: “Era stabilito che il dottor Di Matteo doveva morire.
Rotolo mi ha raccontato che i servizi segreti volevano morto prima il
dottor Antonio Ingroia, poi Di Matteo. E siccome Provenzano non voleva
più le bombe, dovevamo morire con un agguato”.
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